la storia di Valentina

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Valentina, 43 anni, di padre russo e di madre ucraina, risiede a Lissone dal 2002. È originaria di una città dell’Ucraina distante 200 chilometri da Leopoli.

Nel mese di Febbraio del 2000 in corriera, attraversando la Polonia, la Germania, l’Austria e l’intera Italia, arriva in Calabria, dove altre sue concittadine l’hanno preceduta. Porta con sé un dizionario d’italiano.

L’inverno è mite ad Isola Capo Rizzuto; viene scelta tra le nuove arrivate (“io prendo quella” dice il suo datore di lavoro) per lavorare in campagna. Passa poi alle dipendenze di un caseificio: la sua camera è un piccolo locale diviso dalla stalla da una tenda. Lavora in seguito come lavapiatti, in un ristorante, dove hanno luogo banchetti matrimoniali con numerosi invitati, ma privo di lavastoviglie.

Dopo queste prime esperienze lavorative decide di trasferirsi nel nord Italia in cerca di miglior fortuna e magari di una paga migliore. In treno  raggiunge una località in provincia di Reggio Emilia, dove risiede da poco tempo sua sorella. Svolge per alcuni mesi l’attività di badante; poi si trasferisce a Parma presso una famiglia.

Durante l’estate 2001, accompagnando al mare la persona che accudisce, presso La Spezia conosce una famiglia di lissonesi. Appena rimane senza lavoro, per la morte della persona che assisteva, nell’ottobre 2002 si trasferisce a Lissone.

Nel Febbraio 2003 è nuovamente disoccupata. Senza lavoro, ogni giorno passa qualche ora in chiesa per difendersi dal freddo; la notte la trascorre in un alloggio di fortuna presso una sua amica.

Valentina, che è diplomata al conservatorio di Leopoli e che in patria svolgeva l’attività di pianista, proprio l’8 Marzo del 2003, in occasione della giornata internazionale della donna, ha la possibilità di esibirsi al pianoforte in una città nei dintorni di Lissone: suona brani di compositori russi dell’ottocento, dimostrando tutta la sua bravura (e pensare che sono ormai trascorsi quasi tre anni da quando si era seduta al pianoforte l’ultima volta!).

Nell’agosto 2003, ottenuto finalmente il regolare permesso di soggiorno, può tornare in Ucraina per un mese e rivedere, dopo tre anni e mezzo, i suoi due figli ormai cresciuti, lasciati in cura alle nonne.

A Lissone, in novembre, Valentina ritrova il gusto di suonare il pianoforte, tra i suoi molteplici impegni di collaboratrice domestica. Stringe amicizie con alcuni nostri concittadini.

Il 17 dicembre 2003 una grave sciagura la colpisce: riceve una telefonata dall’Ucraina che la informa della morte del figlio di 18 anni, gravemente ammalato dall’infanzia. Era questa la pena, il segreto che teneva ben celato; la sua determinazione a lasciare l’Ucraina era motivata dall’impellente necessità di trovare un rimedio a questa difficile situazione familiare, che l’ex marito, disoccupato, non era riuscito ad affrontare. Una gran parte del denaro da lei faticosamente guadagnato serviva per le cure del figlio malato e per l’acquisto di costose medicine.

Torna in Ucraina per i funerali.

Rientra a Lissone ai primi di gennaio 2004.

La musica, il poter suonare il pianoforte le consentono di resistere al dolore: per fortuna qualche occasione non manca anche nella nostra città.

Ora il suo desiderio più grande è di avere vicino Yuri, il secondogenito sedicenne. Inizia così un’altra sgradevole esperienza per ottenere il ricongiungimento del figlio. Ore ed ore passate in fila presso la Questura. Quanti bocconi amari per chi, regolarmente stabilitosi nel nostro Paese, intende riallacciare dei rapporti familiari! Quante ore passate in coda all’aperto! Ci si sente impotenti contro la burocrazia. Finalmente il 10 agosto del 2004, ottenuto il nulla osta grazie all’intervento del sindacato, può partire alla volta dell’Ucraina.

A settembre può ritornare in Italia con il figlio Yuri.

In base alla legge, a fine settembre del 2005, deve rinnovare il permesso di soggiorno in Italia: trascorre un’altra notte in fila con altri immigrati, per avere maggiori probabilità di riuscire ad entrare negli uffici della Questura il mattino successivo (in una trasmissione televisiva viene mostrata questa vergognosa situazione cui devono sottoporsi gli immigrati residenti a Milano e zone limitrofe).

In regola con il permesso di soggiorno, vuole migliorare la sua situazione economica, trovare un lavoro meno discontinuo: decide di frequentare una scuola serale per ottenere una specializzazione. Per sei mesi studia e lavora, lavora e studia e finalmente a fine anno 2006 ottiene il diploma che le consente di trovare un lavoro presso una casa di cura, dove attualmente svolge la sua attività lavorativa.

È una storia di immigrazione simile a quella di altri che sono costretti per vivere a lasciare il loro luogo natio.

Ho voluto raccontare questa sua esperienza di vita, perché ho avuto la fortuna di conoscerla e di ammirare la sua forza d’animo.

 

Alekos

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