Giornata contro l'Aids - Onu: troppi bambini continuano a morire

1 dicembre 2008. È la giornata del fiocco rosso, della speranza e della lotta contro un nemico apparentemente invisibile, che continua a inghiottire ogni giorno milioni di persone in tutti i Paesi, specialmente in quelli più distanti dagli orizzonti della ricchezza e del benessere. Primo dicembre 2008, Giornata mondiale della lotta contro l'Aids, giornata che unisce tutte le nazioni con una serie di iniziative, appuntamenti e convegni che fanno il punto sulla malattia, dalle piazze di New York a quelle di Pechino, dove un enorme fiocco rosso, simbolo di una lotta senza quartiere, è stato esposto fuori dallo stadio Nido d'uccello, luogo di recenti primati olimpionici, per far riflettere su un record d'altro tipo: il dilagare del virus in Cina, che ha finalmente spinto le autorità a lanciare una campagna di sensibilizzazione sull'argomento dopo anni di tabù. E di tristi record, il primo dicembre 2008, ne verranno ricordati molti, tanti che viene da chiedersi se il giorno dei fiocchi rossi, arrivato quest'anno alla ventesima edizione, possa bastare per far fronte contro una pandemia tutt'altro che addormentata, specialmente nell'Africa sub-sahariana, in India e negli altri Paesi asiatici. I numeri, allarmanti, lo confermano ancora una volta.

Secondo il più recente rapporto dell'Agenzia delle Nazioni Unite per la lotta contro l'Aids (Unaids), la comunità internazionale sta perdendo la sua battaglia contro il virus: oggi oltre 33 milioni di persone al mondo sono colpite dall'Hiv, e di queste 2,1 milioni sono bambini o ragazzi sotto i 15 anni d'età. Ogni giorno si aggiungono 7.500 nuove infezioni. L'Africa sub-sahariana continua a essere l'area del mondo più colpita, con il 67% delle persone sieropositive e il 72% di morti per Aids nel 2007. Grazie ai programmi di prevenzione, il numero di persone che ha contratto l'Hiv è sceso globalmente dai 3 milioni del 2001 ai 2,7 milioni nel 2007. In Kenya, tuttavia, il tasso di prevalenza dell'infezione è aumentato (6.7% nel 2003; fra 7,1% e 8,5% nel 2007) e al di fuori dell'Africa sta crescendo in vari Paesi. A livello globale la percentuale di donne sieropositive rimane stabile al 50%, mentre quella delle donne che contraggono l'Hiv è in aumento in molti Paesi. In Africa il 60% delle persone sieropositive sono donne; due giovani sieropositivi su tre sono di sesso femminile.

Ma è nel campo della prevenzione, vera chiave strategica nella guerra all'Aids, che i dati sono sempre meno incoraggianti, specialmente nel mondo dell'infanzia dove la malattia mostra il suo lato più crudele. Secondo il terzo rapporto «Bambini e Aids» realizzato da quattro agenzie delle Nazioni Unite (Unicef, Organizzazione Mondiale per la Sanità, Programma congiunto delle Nazioni Unite sull'Hiv/Aids e Fondo delle Nazioni Unite) sono ancora troppo pochi i bambini e le donne che effettuano i test Hiv. In particolare, nel 2007 meno del 10% dei neonati nati da donne sieropositive è stato sottoposto al test prima dei due mesi di vita, e solo il 18% delle donne in gravidanza nei paesi a basso e medio reddito lo ha effettuato. Mentre appena il 12% di quelle risultate positive ha effettuato ulteriori accertamenti per verificare a che stadio fosse l' infezione e che tipo di cure erano necessarie. Percentuali che si scontrano con altre cifre, se si pensa che in 22 Paesi dell'Africa occidentale e centrale la prevenzione del contagio tra i giovani è prevista nei piani strategici nazionali di contrasto alla pandemia. E che in Camerun, nella Repubblica democratica del Congo e in Nigeria esistono programmi specifici per ridurre i comportamenti a rischio, la vulnerabilità e la disparità tra i giovani sia dentro che fuori l'ambiente scolastico.

Programmi e progetti che, evidentemente, non hanno funzionato a dovere, tanto che le cure per l'Aids pediatrico, la prevenzione della trasmissione da madre a figlio e la prevenzione di nuovi contagi tra giovani e adolescenti sono diventate le tre priorità della Campagna «Uniti per i bambini, Uniti contro l'Aids» delle Nazioni Unite. La quarta priorità riguarda la cura e il sostegno dei circa 15 milioni di bambini che hanno perso uno o entrambi i genitori a causa dell'Aids. La Campagna proseguirà fino al 2010 per informare e sensibilizzare l'opinione pubblica mondiale, per fare pressione sui governi e per raccogliere i fondi necessari a far sì che i bambini non siano più il volto invisibile dell'Aids.
Ma il dramma non riguarda solo i Paesi che l'Occidente sente lontani. L'Aids non è solo «un problema degli altri» e continua a minacciare, ogni giorno, anche gli Stati del benessere, Italia compresa. A ricordarlo è stato ricordato il Network Persone Sieropositive (NSP), che si è aperto a Torino alla vigilia della Giornata mondiale della lotta all'HIV: anche se per il 69% degli italiani l'Aids non fa più notizia, nel nostro paese si registrano 4.000 nuove infezioni l'anno. Dall'inizio dell'epidemia allo scorso anno, dicono i dati dell'Istituto Superiore di Sanità aggiornati al 31 dicembre 2007, di Aids in Italia si sono ammalate 59.500 persone e 35.300 sono morte. Mentre sarebbero almeno 40mila le presunte infezioni non diagnosticate, quelle cioè di persone che hanno contratto il virus magari anni prima e che ne sono ancora inconsapevoli.

E sulla base dei nuovi dati, a livello mondiale e nazionale, dall'Italia, dall'Osservatorio sull'azione globale contro l'Aids che riunisce 23 Ong italiane e internazionali, arriva una appello ai potenti del mondo: «La comunità internazionale deve rafforzare il suo impegno nella lotta all'Aids per garantire l'accesso universale ai servizi di prevenzione, cura e supporto di qualità per l'HIV/Aids a tutti coloro che ne hanno bisogno entro il 2010, come stabilito al G8 di Gleneagles del 2005». Senza un maggiore impegno della comunità internazionale, scrive l'Osservatorio, il bilancio di perdite umane è destinato ad aumentare: a dicembre del 2007 i sieropositivi nel mondo erano 33,2 milioni, tra cui 2,5 milioni di nuovi infetti. «È necessario - secondo la rete Ong - che i Paesi del G8 tengano fede agli impegni presi e in più occasioni reiterati. Al vertice di Heiligendamm, in Germania, i leader mondiali hanno deciso di stanziare almeno 60 miliardi di dollari per la lotta contro Aids, Tubercolosi e malaria e per il rafforzamento dei sistemi sanitari negli anni a venire. Un impegno poi precisato in un arco di tempo di cinque anni nel successivo summit dei G8 in Giappone», dove il premier Berlusconi, si è impegnato a inserire nelle manovre finanziarie dei prossimi anni il contributo italiano, pari a 2,5 miliardi di dollari, 500 milioni all'anno. Per l'Osservatorio è necessario, inoltre, definire dei piani di finanziamento concreti, prevedibili, monitorabili e di lungo periodo, che assicurino lo stanziamento di risorse addizionali rispetto a quelle destinate all'Aiuto Pubblico allo sviluppo.

In particolare, le Ong chiedono «che l'Italia, in quanto presidente del prossimo vertice G8, converta il debito di Paesi ad alta incidenza Hiv/Aids attraverso accordi di reinvestimento nei servizi sanitari e promuova anche attraverso gli altri Paesi del G8 il principio della cancellazione-conversione del debito dei Paesi ad elevata prevalenza di Hiv e Aids o che presentano situazioni sanitarie particolarmente preoccupanti».

Per dare forza, non solo simbolica, alla lotta dei fiocchi rossi occorre dunque realizzare gli impegni economici e progettuali dei governi: bisogna mantenere le promesse, unire i fatti alle parole. Come sta avvenendo, con gradualità e tra mille difficoltà, sul fronte della ricerca medica anche nel nostro Paese, dove in dieci centri specializzati, coordinati dal policlinico di Modena, è da poco partita le fase due del vaccino italiano contro L'Aids, che prevede l'arruolamento di 128 pazienti volontari per verificare la risposta immunitaria al vaccino di soggetti sieropositivi già in trattamento con i farmaci antiretrovirali. La nuova speranza, per rendere più forti i nodi dei fiocchi rossi, potrebbe ripartire proprio da qui, anche se il fronte più efficace della lotta continua ad essere la prevenzione: l'uso del preservativo, oggi più che mai se si considera che la maggioror parte delle nuove infezioni da Hiv arrivano per via sessuale.

 

Da “l’Unita” 1 dicembre 2008

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